separatore sassolini colorati Una grande Abbazia urbana da scoprire: San Pietro dei Padri Benedettini a Modena

La ricostruzione del complesso monastico in sostituzione del precedente edificio duecentesco fu per Modena un evento di grande rilievo.

Pubblicato il: 06-08-2020

La ricostruzione del complesso monastico in sostituzione del precedente edificio duecentesco fu per Modena un evento di grande rilievo.

Ebbe inizio nel terzo decennio del Quattrocento, allorchè i Benedettini di Modena si unirono alla Congregazione riformata di Santa Giustina di Padova (di fatto una federazione di monasteri coordinata dal Capitolo generale che si riunisce ogni anno) e diedero prontamente avvio ai lavori di costruzione della chiesa per aderire al nuovo spirito congregazionale. Ruotata di 90° rispetto alla preesistente, e con il fronte parallelo alla non lontana via Emilia come richiesto dal duca di Ferrara, signore anche di Modena, la nuova chiesa fu anche traino per una radicale riforma dell’intero settore sudorientale della città, a ridosso della cui cinta muraria era costruita. Da allora i monaci benedettini esercitarono grande influenza spirituale e culturale sulla città, come emerge dalle fonti e dai documenti, e come di recente è stato possibile mettere maggiormente a fuoco con le ricerche condotte per iniziativa del Centro Studi diretto dal Priore dell’Abbazia, dom Stefano De Pascalis.

Gli abati o priori Benedetto Aquila da Parma, Pellegrino degli Erri, Gregorio Cortesi, Isidorio Clario (e poi più tardi Crisostomo Barbieri Fontana), per non citarne che alcuni, furono fondamentali per il procedere del cantiere del monastero, alla cui definizione contribuì in modo essenziale anche la mobilità interna caratteristica della Congregazione di Santa Giustina, poi Cassinese. Essa favorì infatti straordinari scambi artistici e religiosi che fecero di San Pietro un grande centro di cultura umanistica, particolarmente legato ad altri monasteri padani (fra questi San Giovanni Evangelista a Parma, San Sisto a Piacenza e San Benedetto Po).

Più grande del duomo di Modena, maggiore di oltre due volte e mezzo rispetto al precedente tempio, la nuova chiesa abbaziale s’impose, grazie anche alla facciata ornata da terracotte ispirate a motivi classici, sul panorama architettonico modenese che proprio attraverso questo cantiere si conformò ai modelli architettonici più aggiornati. Da ciò la prontezza con cui le maggiori famiglie cittadine aderirono all’appello dei monaci benedettini nel sostenere i lavori di decorazione, ottenendo in cambio lo ius delle numerose cappelle previste, per le cui pale d’altare furono chiamati artisti di fama. Lavorarono infatti per San Pietro Nicolò dell’Abate (autore della pala dell’altare maggiore, poi sostituita da una bella copia di Francesco Stringa), Francesco Bianchi Ferrari, Filippo da Verona, Gian Gherardo delle Catene, Pellegrino Munari, Ercole Setti, Ercole dell’Abate, Giovanni Battista Ingoni, Domenico Carnevali, Girolamo Romanino, Sassoferrato, gran parte delle cui opere ancora oggi, nonostante gli stravolgimenti dovuti a ben due soppressioni (napoleonica e postunitaria), fanno della chiesa un luogo di straordinaria densità, che rende possibile l’esperienza di un vero tuffo nella storia.

Ai dipinti si accostano le magnifiche sculture in terracotta di Antonio Begarelli, fra i massimi plastici del Cinquecento padano e interprete intelligente delle novità prodotte a Firenze e Roma. Artista molto attivo per i Benedettini, lasciò magnifiche opere non solo a Modena, sua città natale, ma anche a Parma e a San Benedetto in Polirone e si legò all’ordine divenendone oblato, ossia membro laico. 

Di grande importanza è la vicenda dell’organo monumentale. Costruito a chiesa già ultimata e inaugurato nel 1524, è opera di Giovan Battista Facchetti, stimato organaro bresciano protetto del cardinale Ippolito d’Este, e costituisce ancor oggi il segno della qualità della committenza benedettina. Lo rivelano in particolare la fastosa decorazione a grottesche della cassa lignea attribuita dalle fonti a Giovan Antonio Scaccieri così come gli intagli dorati che spetterebbero a Pellegrino Munari, discepolo di Raffaello; ma soprattutto il ricco e colto impianto decorativo delle portelle e della tribuna eseguito da Giovanni Taraschi con Storie di David, il Trasporto dell’Arca e Storie dei santi Pietro e Paolo.

A chiesa ultimata prenderà avvio il complesso iter costruttivo del monastero con la realizzazione dei lunghi corridoi monastici conformati a croce da cui presero forma i quattro spazi (chiostri o cortili) che definiscono il monastero. Qui trovano spazio il Cortile della spezieria, quelli detti del forno e dell’orto, nonchè il monumentale Chiostro delle colonne riservato alla vita quotidiana dei monaci, attorno a cui s’aprivano celle e spazi comunitari come la Sala Capitolare e i monumentali Refettori, ma anche la foresteria, la spezieria, la biblioteca, la portineria ed altro ancora: spazi mutati dopo le trasformazioni ottocentesche, che i restauri attivati o programmati stanno recuperando e rifunzionalizzando al servizio dell’Abbazia.

 
Centro Studi dell’Abbazia Benedettina di San Pietro costituito da:

Dom Stefano De Pascalis

Sonia Cavicchioli

Paolo Tinti

Fabrizio Tonelli

Vincenzo Vandelli

avatar Monica Valeri BY: Monica Valeri
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